Baio, Morello, Sauro, Grigio, Roano eccetera eccetera, forse farò un articolo sui nomi dei manti dei cavalli, ma su tutti impera il giallo di Aquilante.
Nel 1966 Mario Monicelli ha creato uno dei film che hanno segnato la storia del cinema italiano: L’Armata Brancaleone. Tutti conosciamo almeno una delle scene di questo film di “epica all’italiana”. Nessuna intenzione di creare un film storico, filologico anzi, l’intento era proprio quello di scimmiottare le abitudini dell’Italia contemporanea. Pregi e difetti, diversità linguistiche e decadenza culturale, in quel boom economico indotto con violenza e a scapito del futuro. In questo improbabile mondo di straccioni e mendicanti, picari e felloni, si erge un cavaliere. Un uomo valoroso a dispetto della sua condizione economica e di un retaggio non propriamente nobile.
Un cavaliere senza cavallo sarebbe un ossimoro e così come Brancaleone anche il suo destriero è un improbabile cavallo da guerra. Aquilante dal giallo mantello nato da un mulo e una giumenta. Come sappiamo dalla genetica questa combinazione è già di per sé più unica che rara, il mulo è quasi sempre sterile essendo un ibrido egli stesso, fra un asino e una cavalla. Aquilante infatti, in caso di necessità, raglia.
Sin dalle prime scene lo vediamo insieme a Gassman. Quello che più risalta è l’addestramento ricevuto da questo “malo caballo”. L’inseguimento intorno alla tenda nel campo di giostra nella sua prima scena nel film, è paradigmatico di una capacità d’apprendimento dell’animale incredibile e di un’intelligenza raffinata.
Nonostante le parole espresse dal cavaliere nei suo confronti “mala bestia”, “Aquilante della mala sorte”, “Vieni, Aquilante che ti do uno zuccarino, vieni bestiaccia” e le botte continue (che chiaramente vengono mostrate come finte, mai portate a segno in scena) , i due sono un unico essere vivente. Cavallo e cavaliere sono un tutt’uno.
Poco dopo, al primo scontro d’armi, viene fuori il carattere del cavallo sia quello di scena, Aquilante, sia quello reale, il cui nome non ci è pervenuto. Il Cavallo reale, che in un’unica clip appare non dipinto di giallo e mostra il suo vero manto di un bellissimo bianco spruzzato di grigio, è intelligente e risponde rapidamente ai comandi del cavaliere. La scena della battaglia è chiaramente stata girata in un unico momento e mostra le qualità di tenace cavallo adatto al dressage. Mentre Aquilante …beh… ce lo descrive bene Brancaleone da Norcia “Aquilante che fai, che fai, indietreggi? Fermati! Arrestati! Per Dio non fuire! Carognone, traditore, mala bestia, pusillanime. Rallenta a lo meno, gira da altro lato”
Al secondo scontro con Teofilatto dei Leonzi, nobile bizantino decaduto (forte anacronismo come la razzia di apertura del film dei visigoti, proprio per dire di non essere un prodotto filologico) Gian Maria Volontè dice “a piedi o a cavallo?”, Gasmann fa dire al suo personaggio “no, no a cavallo no!”
Questa dote di Aquilante di conoscere sempre come salvarsi le penne, torna utile a tutta l’armata. Come quando, all’interno del primo borgo che incontrano si preparano alla razzia, ma lo trovano ammorbato dalla peste. Cercano una via per scappare rapidamente dal paese e per farlo “seguitiamo Aquilante, lui conosce le vie di fuga”.
Una delle scene più esilaranti per me è stata quella in cui, per salvare la dolce dama Matelda, l’eroe salta in groppa rapidamente, e Aquilante fa saltare una staffa, facendo quasi cadere il protagonista. L’inquadratura poi si sofferma sul muso dell’animale, e la musica e gli effetti sonori sottolineano la scena con una sorta di ghigno di Aquilante, che per farsi perdonare galopperà “ratto come la folgore”.
L’Armata Brancaleone si conclude con una poesia fra uomo e il suo fedele destriero. Aquilante oramai aveva trovato l’amore e libero da briglie e finimenti. Beveva placido in un fontanile con la sua amante in un prato verde, quando sente l’arrivo di Zenone “seguitato in fila longobarda” da Brancaleone e dalla sua armata scalcinata da poco salva dagli arabi, e dal ritorno di Arnoldo Mano di Ferro. Da lontano ascolta “Longo è lo cammino ma grande è la meta” galoppa per osservare se fra la masnada ci fosse anche il suo padrone, lo vede, torna indietro, saluta la sua bella, e “si fa montare da Brancaleone” …. “A LO SANCTO, SACTISSIMO SEPOLCRO”… e l’Armata va alle Crociate.
Emanuele Luciani
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