50 anni fa l’Italia arriva in cima all’Acroartico[1]

Ai piedi della montagna Sibilla che dà il nome alla catena, nasceva Fabrizio Innamorati, divenuto poi capitano dei Carabinieri sezione Tuscania. Un giorno di fine estate del 1972 viene convocato dallo Stato Maggiore e inizia una nuova avventura la “Spedizione italiana Everest 1973”.

con Guido Monzino un ufficiale carabiniere di un borgo marchigiano

C’è un piccolo borgo bandiera arancione ai piedi dell’Appennino marchigiano in provincia di Fermo, si chiama Amandola. Lì d’estate s’incontrano escursionisti, ciclisti, amanti d’arte e golosi di enogastronomia. Gente da tutto lo stivale che approfitta della festa “Diamanti a Tavola” dedicata al tartufo, che a luglio con lo Scorzone estivo (Tuber aestivume) e novembre col Tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum pico) anima la vita cittadina.

Fra gli eventi collaterali una mostra che mi ha colpito particolarmente: Everest 1973.

Cinquant’anni fa un evento che ha coperto di gloria l’Italia e che la Nazione ha celebrato in maniera davvero poco enfatica. La domanda che mi ha interpellato è semplice, perché qui?

Ai piedi della montagna Sibilla che dà il nome alla catena, nasceva Fabrizio Innamorati, divenuto poi capitano dei Carabinieri sezione Tuscania. Un giorno di fine estate del 1972 viene convocato dallo Stato Maggiore e inizia una nuova avventura la “Spedizione italiana Everest 1973”.

Guido Monzino classe 1928, celebre alpinista dall’esperienza ventennale nell’esplorazione e specialista in Groenlandia, occidentale con ben sei spedizioni e orientale con tre, progetta la conquista italiana del monte Everest con la tecnica dell’assedio.

La sensibilità contemporanea ci potrebbe far storcere il naso. Elicotteri, scale fisse e macchinari scientifici sembrano ridondanti e addirittura offensivi, ma giudicare il passato, anche recente, con gli occhi e le esperienze del presente non è pertinente. Così proviamo a leggere i fatti di quel periodo glorioso.

Dopo le imprese eroiche di Luigi Amedeo Duca degli Abruzzi del 1899, di Umberto Nobile del 1926 e del 1928 e di Silvio Zavatti, l’Italia si attesta sia a livello esplorativo che scientifico fra le principali nazioni che concorrono alle imprese esplorative mondiali e al bene comune della ricerca. L’avversaria di sempre era la Gran Bretagna. Nel 1921 il primo tentativo di conquista dell’Everest, sei tentativi inglesi più o meno fortunati tentano l’impresa, anche altre nazioni ci provano, danesi, svizzeri, francesi. Nel 1953 la vittoriosa spedizione britannica, sotto la guida militare di Sir John Hunt con 350 portatori, 20 Sherpa e tonnellate di provviste per sostenere dieci alpinisti. Da allora altri hanno tentato, senza esserci riusciti, fino all’interessamento di Guido Monzino.

Mesi di preparazione, logistica, allestimento di 6 campi base, un elicottero che mal funziona in condizioni estreme fra il campo 2 e il campo 3, acclimatamento, esercitazioni. Una macchina organizzativa imponente. Per immaginarci le condizioni di lavoro, immaginiamo che hanno portato con loro anche una strumentazione medica avanzata per studiare il corpo umano sotto stress a quota sei mila metri di altitudine. Dati che sono stati utilizzati successivamente anche dall’ASI (Agenzia spaziale italiana), ESA (Agenzia spaziale europea) e dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration).

Una spedizione con 63 alpinisti fra militari (52) e civili (guide alpine CAI) e oltre duemila portatori con 200 yak, 2 elicotteri e tonnellate di equipaggiamento. Numeri che hanno portato anche ad un ulteriore record, l’atterraggio di un elicottero in quota 6400 metri.

Ho l’onore di comunicarle che da oggi 5 maggio 1973 alle ore 12e39 locali, sulla cima dell’Everest sventola la bandiera italiana. (…)  Mirko Minnuzzo, Lhakpa Tenzing, Rinaldo Carrel et Shambu Tamang (…)

Ho il piacere di comunicarle che oggi 7 maggio alle ore 13:00 locali la seconda cordata d’attacco composta dal capitano dei carabinieri Fabrizio Innamorati, dal maresciallo degli alpini Virginio Epis dal sergente maggiore Benedetti Claudio e dallo sherpa Sonam Gyaljien, ha raggiunto nuovamente la vetta dell’Everest ripetendo la via della precedente cordata ed apponendo nuovi simboli nazionali. La cordata Innamorati est in ottime condizioni di salute

Con questi brevi telegrammi il capo spedizione Guido Monzino annuncia allo Stato Maggiore la riuscita della scalata, poi celebrata anche dal servizio nazionale RAI.

Al museo dell’Arma dei Carabinieri c’è un fondo fotografico che è stato prestato alla sezione CAI di Amandola e integrato con il fondo fotografico Monzino di proprietà del FAI e allestito nell’androne del comune di Amandola. Per l’occasione dell’inaugurazione della mostra erano presenti, l’assessore della Regione Marche Andrea Antonini e il sindaco Adolfo Marinangeli ospitati dal presidente CAI Amandola Stefano Luchetti.

Il marchigiano capitano della Folgore dei Carabinieri dichiara in una intervista “(…) abbiamo incontrato una bufera. Circa due ore fermi, bloccati a cento metri dalla vetta con un maggior consumo di ossigeno, naturalmente. Correvamo il rischio di dover ripiegare per l’infuriare delle fortissime raffiche di vento; ma eravamo decisi a non cedere”.

Fabrizio Innamorati porterà sull’Acroartico una icona di una Madonna con Bambino donata dal pontefice Paolo VI e lasciò in vetta una lucerna, simbolo dei carabinieri.

Nel documentario RAI, mi ha colpito molto il linguaggio aulico utilizzato, specifico e pertinente, ma anche un dettaglio di pochi secondi, il molto inquinamento che già allora era presente per le precedenti missioni esplorative. Bombole d’ossigeno e plastica ovunque. Un monito già allora alla moderazione.

Per l’occasione ho chiesto al direttore Gianluca Frinchillucci del museo polare “Silvio Zavatti” di fare una dichiarazione: “La spedizione Guido Monzino rappresentò agli inizi degli anni ‘70 una grande impresa alpinistica realizzata grande alla sua capacità economica e organizzativa, sapendo scegliere per le sue avventure e spedizioni artiche le guide alpine valdostane. Scoprire che un marchigiano e ufficiale dei paracadutisti del Tuscania era capo della seconda cordata mi riempie di orgoglio e il pensiero non può non andare agli alpinisti marchigiani come il caro amico Giuliano Mainini e gli altri soci del CAI che negli stessi anni sfidavano l’ignoto e le vette Groenlandesi, lasciandoci una grande eredità di esperienze”


[1]Neologismo che spiego ne Il Polo: rivista semestrale / dell’Istituto geografico polare (in corso di pubblicazione) “Oramai è assodato a livello scientifico la definizione dell’Himalaya come “Terzo Polo”. Si affianca al continente Antartico dove la terra gelata rende impossibile all’uomo lo stanziamento (a parte le stazioni scientifiche) e all’Artico dove il ghiaccio solidifica l’acqua marina dove l’uomo ha abitato, pur in innumerevoli ristrettezze, a una montagna dove il clima è similare (mutatis mutandis) dove le attività umane sono frenetiche fra capitali di regni antichi ed economia turistica in forte sviluppo. Tre luoghi “estremi” dove diversi e variegati sono gli interessi umani ma dove i cambiamenti climatici sono più evidenti e dove colpiscono in maniera più sintomatica.

Un terzo polo, dunque, la cui definizione mi ha incuriosito e interpellato. Di mestiere racconto storie e l’uso delle parole sia colloquiali che tecniche sono una fonte continua di equilibrio fra la necessità di esprimersi in maniera che tutti possano comprendere ma che desti comunque curiosità e attenzione. Così alla fine di questo mio contributo lancio una sfida a tutti voi lettori per chiamare il massiccio himalayano in maniera innovativa, che ne pensate di esplorare con me questa possibilità? Il guanto è stato gettato e propongo per primo questo termine da affiancare ad Artico e Antartico: ACROARTICO, l’alto artico”.

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