Morgana la fata del Monte Pennino

Una montagna, una leggenda, un effetto ottico. La sapienza dell'insieme.

“Le montagne portino pace al popolo e le
colline giustizia.” Salmo 72 (71)

Pensavi forse che avrei dedicato il primo articolo della nuova rubrica “Le montagne, Gandalf” alla Sibilla? Beh, ci ho pensato, ma poi come avrei iniziato questo racconto? Ma da una profetessa come la Sibilla tacciata per strega e fata è facile passare a un’altra eroina dell’Europa mitologica e letteraria: Morgana.

Il nostro Appennino che dall’arco alpino si stende per tutto lo stivale italico ha meraviglie incantate in ogni angolo, leggende, miti, tradizioni, balli e canti che non debbono perdersi. Così come i retaggi dei molti popoli pre latini si sono sovrapposti ed amalgamati nelle poderose opere letterarie greche e latine, altrettanto dobbiamo conservare le nenie e le scandafavole di un retaggio che è stato boicottato al sacro furore dell’uguaglianza e del progresso.

La pace che il nostro animo anela e la giustizia di cui parla il salmo non sono altro che l’ambizione di giungere alla Patria Celeste camminando per le vie ardue che ci vengono sottoposte quotidianamente, come sono dure le vie che salgono sui nostri monti. Così, passeggiando fra le nostre valli e inerpicandoci sui fianchi dei monti non deve sembrarci strano di giungere a Dio incontrando qua e là folletti e fate di tempi antichi.

“Lassù sulle cime ventose | Laggiù nelle valli di giunchi, | Nessuno osa andare a cacciare | Per tema dei piccoli ometti. | Buona gente, piccola gente, | Che si raccoglie a frotte, | Verde la giacca, rosso il berretto, | E bianca la penna del gufo!” Sir William B. Yeats

Il monte Pennino in Appennino. Un gioco di parole? Uno scherzo o un banale errore? Non ho sufficienti competenze linguistiche, ma senza addentrarmi troppo provo a dare una suggestione, e un ipotesi.

Visti dagli sguardi antichi la catena degli Appennini dovevano sembrare come l’ala di un pennuto pronta a spiccare il volo. Come avrete intuito non mi discosto dall’etimologia latina per l’intera fascia montagnosa. Non serve. In tutte le lingue indoeuropee la radice è la stessa. Ma andando ad analizzare l’etimologia del monte Pennino, potremmo fare un volo pindarico più sostanzioso.

I Senoni, una delle molte tribù celtiche che vivevano lunga la Senna, oggi uno degli arrondissement parigini, migrarono in blocco all’inizio del IV secolo a.C. saccheggiarono Roma, salvata in extremis dalle oche capitoline, e furono scacciati dall’area tirrenica rifugiandosi nelle Marche, passando per il valico di Colfiorito. Poco più a sud di questo valico incontriamo il nostro monte Pennino. Un monte molto acquifero, tanto da incontrare innumerevoli fonti lungo i suoi fianchi e dove nel medioevo moltissimi trovarono refrigerio non da ultimo s. Francesco d’Assisi. Ed ecco che di nuovo la radice indoeuropea ci viene in aiuto. Pen* sta per acquitrino o semplicemente acqua. Fra i popoli europei che più conservarono questa radice senza troppi sconvolgimenti vi sono appunto i Celti. Quindi per me non è difficile pensare che i Senoni, indicando il monte Pennino dicessero: “in caso di scorribande a sud, fra le valli di quel massiccio troverete acqua per i vostri appetiti”.

Nei mesi di Luglio e Agosto, in particolari condizioni di umidità e pressione atmosferica, possiamo osservare l’effetto fata Morgana. Ovvero dalla cima guardando ad est verso il mare Adriatico (Morgana nata dal mare), all’alba in attesa dell’Aurora, vedremo il sole già alto nel cielo prima di averlo visto sorgere. In pratica il sole che noi ancora non scorgiamo in quanto ancora sotto alla linea del mare, irradia i suoi fasci luminosi all’orizzonte, che per un effetto di rifrazione, proietta la propria immagine nel cielo quasi allo Zenith. In pratica vedremo una fata all’opera.

Nel 2014 io e Maria Pia, abbiamo percorso con un manipolo di persone meravigliose, un tragitto che da Assisi ci portò sulla vetta del Pennino esattamente all’alba per poi giungere al Montelago Celtic Festival dove ci aspettavano Maurizio e Luciano. Chiamammo quell’itinerario: Appennino-Tartan e la narrazione sulle fate ancora riecheggia sul Pennino.

Emanuele Luciani

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